I CENCI


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Evento finito il 16 Marzo 2019


Va in scena, questo fine settimana, al teatro Elicantropo, I Cenci di Antonin Artaud.

Con la regia di Riccardo Pisani, la compagnia Contestualmente Teatro fa rivivere la storia della famiglia Cenci e concorre alla prima edizione della rassegna/concorso dedicata all’opera di Gennaro Vitiello (Alla ricerca del tempo vissuto), che nel 1967 curò la traduzione e la regia di quest’opera e ne curò la rappresentazione nel suo spazio Teatro Esse, ex deposito di legname in via Martucci, che cessò di esistere nel 1972.

Protagonista assieme agli attori in scena, un cubo: un cubo come “incubatore” degli incubi di Beatrice prima e del conte poi. Beatrice, di bianco vestita, deve combattere fin dall’inizio con i mostri che le appaiono in sogno e che fanno da presagio a ciò che presto avverrà. Solo una volta rifugiatasi all’interno di quel cubo, ella riesce a non farsi toccare dalle nefandezze e dalla scelleratezza di suo padre, ascoltandone, ben nascosta, le manie di grandezza con cui egli è convinto di ottenere la leggenda. Nell’ambientazione sui generis e ricca di simbolismi, ritroviamo un service che prende il posto delle trombe narrate da Artaud e che “modernizzano” la pièce cogliendone la sua assoluta attualità. Parlando di simbolismo, degna di nota è la rosa bianca strappata dalla testa di Beatrice dal mostro notturno che si rivelerà essere suo padre, come a coglierne il fiore puro e a distruggerlo (lo stesso fiore verrà in seguito letteralmente mangiato, petalo dopo petalo, dall’inquisitore papale che perpetrerà la condanna della fanciulla rea di aver commesso un efferato omicidio).

<< Profitterò del corpo per torturare l’anima! >>

Oltre al fiore, ritroviamo mele sparse dal conte a significare la messe ‘generosamente’ donata alla corte e al contempo sinonimo di peccato originale, burattini manovrati sempre dal conte come a voler mostrare il potere assoluto che egli sa di avere sulla sua famiglia e su tutto il popolo che stenta a contrastarne la malvagità, cuffie fatte indossare ai condannati da cui si alzano le note forti della musica che confonde e innervosisce e corde tenute in mano dal rappresentante della Chiesa, il quale, dall’alto del cubo/nascondiglio, decide della vita e della morte dei condannati.

Per tutto il tempo, tranne quando all’inizio si presenterà al pubblico con tutta la sfacciataggine del caso, il conte girerà in silenzio, osservando e sorridendo di ciò che sa essere, tutto sommato, un suo piano specifico. Colei che, invece, farà scoppiare tutta la sua rabbia

 

solo sul finale, sarà Beatrice, la quale, alla fine, confesserà per far salva la vita di sua madre e dei suoi fratelli, accollandosi la colpa che pur essendo reale, è in realtà da intendersi come una difesa. Ma questo, allora come oggi, è un concetto che viaggia su una linea sottile che spesso purtroppo si spezza e non v’è modo di riallacciarlo.

                                                                                                           iNPlatea_Marianna Addesso

Gennaio 2nd, 2019 by