BRODSKY/BARYSHNIKOV


Dettaglio eventi


Entra recando in mano una valigia; entra passando attraverso una grande serra che si illumina al suo ingresso; entra in scena e si siede sulla panchina, accanto a sé un vecchio registratore a nastro. Mikhail Baryshnikov non parla da subito: dalla valigia tira fuori una sveglia, una bottiglia e alcuni libri e poggiati gli oggetti accanto a lui, si guarda intorno; poi, accesa una sigaretta e indossati gli occhiali, apre uno di quei libri e inizia a declamare.

<<… e d’un tratto realizzare quanto è lenta l’anima ad abituarsi…>>

Fin dalla prima poesia, il mondo e l’anima di Iosif Brodskij entrano in scena e benché recitati in lingua natia, certamente non di facile comprensione ai più che stanno ascoltando, i versi appaiono da subito comprensibili. Complice la fisicità eterea di colui che con la danza è riuscito ad emozionare intere platee in tutto il mondo, dopo aver letto i sopratitoli dei primi versi, ci si dimentica presto del Russo e guardando lui e osservando i suoi movimenti, la poesia declamata appare lo stesso compresa. SI muove a scatti, quasi nervosamente, sembra inquieto. Ma quando entra nella serra tutto cambia: non è più lui a recitare, ma una voce registrata e altisonante. Qui i movimenti si fanno più fluidi e più larghi e sebbene sia limitato dalle quattro mura specchiate dell’involucro che lo ospita, l’attore riempie interamente il palco grazie a grand jete e altri passi degni del grande artista che è.

<<… Dirò: tu non esisti?
Ma cosa mai allora
di simile in te sente
la mia mano? e quei colori
d’inesistenza non son frutto.
E chi ha suggerito
quelle tue tinte?
Io non avrei la forza,
io, grumo borbottante
di parole al colore estranee,
di immaginare questa
tua tavolozza. >>

Farfalle, cavalli liberi di correre: all’interno di quella serra/cervello/sogno le parole di Brodskij diventano leggere e positive. L’esilio, quei topi che “sbucano dalla lingua russa” lasciano spazio alla libertà di chi, costretto ad abbandonare la sua terra e la sua lingua natia, è riuscito con fatica e tanta forza a ricostruirsi un mondo nuovo senza dimenticare di amare e rispettare quello vecchio che gli aveva dato la vita, ma che lo aveva anche tradito. Ad ogni uscita da quell’involucro corrisponde un corto circuito, provocato probabilmente da un brusco risveglio, generato da un congegno posto vicino alle porte d’ingresso di quel posto onirico e che fa attivare quel vecchio registratore da cui ancora un’altra voce sbuca fuori, una voce stavolta a metà tra quella dell’attore e quella altisonante che pronuncia parole di libertà. Stavolta la voce è “da comizio”, letteralmente: impone, coarta, costringe ed è di nuovo esilio, di nuovo perdita di libertà personale, di nuovo sofferenza. Tutto lo spettacolo gioca tra i contrasti, per rappresentare le diverse anime di quest’uomo che da un lato soffre e dall’altro si nutre di questa sofferenza per rinascere a nuova vita. Alla fine, entrambe quelle porte verranno spalancate e resteranno aperte a simboleggiare, probabilmente, il momento esatto in cui Brodskij fa pace con il passato e vola verso il futuro. Ma un imbrattare alcuni di quei vetri così da esserne nascosti e il suono della vecchia sveglia precedentemente caricata e lasciata sotto la panchina, fanno tornare alla realtà. L’attore si riveste, rimette gli oggetti nella sua valigia e esce di scena, pronto, di certo, a vivere la sua vita.

Chi ha avuto la fortuna di assistere a balletti interpretati da Mikhail Baryshnikov, ne ha di certo riconosciuto l’eleganza; sebbene ormai votato alla recitazione, si riesce ancora a scorgere muscoli allenati e tirati che protendono su verso il cielo e giù verso la terra. In platea, ad applaudirlo, la “sua” Medea di tanti anni fa che con la sua silenziosa, ma tangibile presenza ha reso ancor più magica la serata. Chissà se un tempo i due si sono amati e chissà se tra quei versi si cela qualcosa a lei dedicato tra un atto e un altro… naturalmente no, ma immaginarlo è pura poesia!

 

Marianna Addesso_ iNPlatea

Maggio 29th, 2018 by