LA CLASSE – RITRATTO DI UNO DI NOI


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Evento finito il 19 Ottobre 2019


Un umano sentire che sembrerebbe andare oltre ogni possibile traccia di comprensione, la scavalca con una lunga incredibile falcata di assoli, si para davanti allo spettatore quasi a voler rendere giustizia a un sentimento meramente empatico, la dribbla con decisione e bravura e infine assesta un gol al centro di una rete cuore. Come una deflagrazione. Tra risa e pianto. Vittoria.
Il teatro Bellini come un campo di calcio, o di tennis o una pista da corsa, dove la gara sta tutta nella bravura dei quattordici allievi della Factory, del regista Gabriele Russo e di Francesco Ferrara che ha ideato uno spettacolo la cui traccia, la lettura della storia di Anders Behring Breivik, l’attentatore norvegese che nel 2011 ha ucciso settantasette connazionali, sessantanove dei quali ragazzi, è unica sempre: rendere giustizia a una storia di morte e di vite cadute, che vada oltre la ricerca dannata di un’anima che può non appartenere.
Le vite finite, le vite scomparse, le vite distrutte di chi è andato e chi è rimasto. È così che viene portato in scena il massimo tra i sentimenti, il dolore, nel contesto di una scuola teatrale che deve inventarsi, realizzare, mettere a punto un copione su una realtà aberrante. Un omicida con le sue ragioni pazze e quattordici ragazzi che cercano di trovare sensazioni di odio e amore da poter comunicare a un pubblico che potrebbe non essere d’accordo. Perché il dolore annienta, il dolore fa male, il dolore fa paura, il dolore uccide. E allora meglio sarebbe dimenticare, non soffermarsi, non sapere, non capire cercando di essere sempre e solo spettatori e mai comparse. Nella vita è così. Ci mettiamo davanti a un televisore o a un giornale e assistiamo passivi a quanto ci viene riportato in termini di notizie. Ne La Classe-ritratto di uno di noi, (e già il titolo la dice lunga), invece, avviene proprio il contrario. Il sentimento già elaborato e sviscerato è come fosse imboccato allo spettatore che da passivo diventa attivo, incassando il colpo e iniziando la sua personale elaborazione. Che si tratti di ridere, perché si ride anche, nonostante i nonostante, o piangere. Come ci fosse una transustanziazione dalle parole di chi recita al corpo di chi guarda. Un passaggio come un suggerimento che si fa sostanza. Corpo e sangue. Interi. Lì a terra ai nostri piedi mentre prima erano pensieri.
La prova attoriale dei quattordici ragazzi in scena è eccellente, con le piccole sbavature di una scuola cui viene concesso lo sbaglio. Così come la scrittura e la regia del testo, che da subito appaiono convincenti e definitivi nel loro rimarcare la necessità che oltre il semplice apprendimento di una notizia ci dovrebbe essere ben altro, come un gioco di specchi. Chi guarda. Chi viene guardato.
iNPlatea_Federica Flocco
Giugno 14th, 2019 by