OPATAPATA


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Evento finito il 11 Marzo 2017


Una produzione Ortensia T

 

<<E’ facile navigare su acque calme. Ma il bravo capitano cerca la tempesta… e la doma.>>

Entra piano in scena;  Roberto Azzurro entra sussurrando e brandendo una campanella, ma è solo un attimo. Come la quiete prima della tempesta, ci introduce il suo spettacolo, la sua creatura. Poi inizia Opatapata e, signori… si salvi chi può! Si ride, si riflette, a tratti ci si spaventa (quando passa dall’interpretare la candida Miranda al mostruoso Calibano, sembra posseduto dal mostro stesso); è la magia del teatro, che liberato da orpelli e sovrastrutture, getta lo spettatore in pasto al racconto. E quasi senza accorgercene, ci ritroviamo anche noi sull’isola deserta di Prospero e di Miranda, di Ariel e di Calibano, l’isola raccontata da Guglielmino, insomma. Fiumi di parole e di citazioni, anche molto moderne. C’era una volta un Re… un Duca, precisando, che per Milano andava governando. Il fratello usurpatore gli fa cappotto e lo esilia su un isolotto. Prospero, questo il nome del malcapitato, approda su un’isola con Miranda la figlioletta… ed è subito tempesta perfetta. Essendo abituato a governare, non si fa scrupolo ad usurpare e togliendo l’isola di mano ai legittimi proprietari, ne diviene il regnante senza pari.

Si potrebbe continuare ad libutum, ma un conto è rielaborare Shakespeare in italiano e un altro conto è farlo in napoletano. Un’ora di battibecchi dialettali tra il capitano e i suoi due mozzi per decidere chi deve interpretare chi; un’ora di monologo (che poi monologo non è in quanto già dopo i primi minuti sembra che di fronte a noi ci sia un’intera compagnia di attori in scena) che spazia dal passato al presente, tendendo ad un futuro utopico e che tale resterà, poiché:

<<Siamo tutti schiavi sotto ad un padrone. … Solo se maltrattati ti stanno a sentire. Loro la libertà non la vogliono!>>

Loro siamo noi, la gente, il popolo che di governo in governo e di governante in governante siamo sempre succubi di un potere che ci logora (forse perché ne siamo sprovvisti?).

Grasse risate scaturiscono quando il mozzo tenta, senza successo, di interpretare l’educata Miranda e invece ne esce fuori una Miranda “macchietta” che ha solo paura che le tolgano la mutanda. A Prospero, infatti, quando venne mandato in esilio, fu concesso di portare gran parte della sua sconfinata biblioteca e in dodici anni di vita sull’isola egli ha potuto educare sua figlia come una vera principessa. Ovvio che se poi questa signorina, che dovrebbe essere tanto perbene diviene “vrenzola” quando immagina il suo matrimonio con Ferdinando, descrivendo con dovizia di particolari quanto bianco e luccicante dovrà essere il suo abito da sposa, si debba ridere di gusto. D’altronde non è forse questo lo scopo del teatro? Lo era ai tempi di William e, in alcuni casi, lo è anche oggi: educare e far riflettere, ma sempre con un sorriso. Rassegniamoci, dunque: siamo e saremo sempre sotto ad un padrone, uno che ha deciso di prendere in mano il potere e che difficilmente lo mollerà (un padrone che, in molti casi, non ci siamo neanche scelti liberamente). Ma finché chi ce lo fa notare lo farà strappandoci un sorriso, la nostra condizione di schiavi farà meno paura e forse qualcuno di noi prenderò coraggio e si ribellerà… forse, chissà. Felici di aver appreso che almeno Ferdinando e Miranda sono riusciti a coronare il loro amore, ancora una volta felici perché l’amore ha vinto. Ma l’amore vince sempre, anche sui giochi di potere? Caro Guglielmino scribacchino: beato te che sei morto credendoci!

Marianna Addesso iN Platea

 

una riscrittura de La tempesta di William Shakespeare
scritto, interpretato e diretto da Roberto Azzurro

Febbraio 24th, 2017 by