QUATTRO SANTE IN TRE ATTI


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Evento finito il 18 Marzo 2017


Una produzione Maniphesta Teatro Onlus

Questa volta si parte dalla fine: dal ballo con cui Gertrude e Alice si allontanano e salutano. Sebbene abbigliate in puro stile Anni ’40, le due innamorate danzano sulle note degli Eurtythmics e “parlano con gli angeli”. Le note e le parole di “There must be an angel”, nonostante siano nate ben 40 anni dopo l’opera di Gertrude Stein, ben si confanno ad essa.

<<No-one on earth could feel like this.
I’m thrown and overblown with bliss.
There must be an angel.
Playing with my heart.
I walk into an empty room.
And suddenly my heart goes “boom”!
It’s an orchestra of angels.
And they’re playing with my heart.>>

<<…Cammino in una stanza vuota e improvvisamente il mio cuore fa “boom!”; è un ‘orchestra di angeli ed essi giocano col mio cuore.>>

La scelta di questo brano non è affatto casuale. Fin  dalla prima scena le due protagoniste “giocano” col pubblico, quasi lo sfidano, forti della tesi che porteranno avanti fino alla fine della pièce:

<<per quanto possa conoscere la storia, essa è pur sempre aldilà del tuo controllo>>

<<si può, con una storia eccitante, arrivare alla fine e ricominciare>>

<<l’emozione del pubblico non coincide mai con l’emozione del dramma>>

E così via. Siamo subito stati resi consapevoli che, da quel momento in poi, non avremmo capito nulla…. O meglio… le nostre emozioni avrebbero precorso e trascorso il tempo della narrazione talmente repentinamente e in modo soggettivo che mentre io mi soffermavo sulla bruttezza dei sandali da monaca di Santa Teresa D’Avyla (non dimentichiamo che stiamo guardando una rielaborazione di Quattro sante in tre atti, per cui Santa Teresa ci sta tutta), la mia vicina si lasciava prendere in contropiede dalle gazze raccontate in scena e indicate con la mano verso l’alto e credeva di vederle realmente. Un gran casotto, ma, naturalmente, molto ben organizzato. Primo e secondo atto, dunque, all’insegna della ripetizione quasi ossessiva di parole e di intere frasi e sempre seguendo il medesimo leitmotiv della vita contro il limite del linguaggio. Si sa ciò che il linguaggio dice, ma la verità è nel non detto.

Ma veniamo all’epilogo: Gertrude Stein e Alice Toklas scendono tra noi direttamente “dall’Universo” e ci raccontano come il loro modo di vedere il paesaggio abbia condizionato il loro modo di raccontarlo, in una sorta di movimento/ stasi che rende mobile l’immobile. Nulla, dice Alice, in realtà si muove in un paesaggio, ma le cose sono là. E sono là pronte ad essere vissute e raccontate, da ciascuno di noi e sempre in modo differente, perché differenti sono le nostre emozioni e differenti sono i modi con cui ogni singolo individuo vi si approccia. Perché, quindi, cercare per forza di capire, di comprendere, di interpretare un racconto? D’altronde lo diceva anche Brecht: <<Se la gente vuole vedere solo le cose che può capire, non dovrebbe andare a teatro; dovrebbe andare in bagno.>>

Marianna Addesso iN Platea

 

 

un’opera da cantare di Gertrude Stein
con Giorgia Palombi, Susanna Poole e Sabrina Bonomo.

adattamento e regia di Giorgia Palombi

Febbraio 24th, 2017 by