SCARRAFUNERA


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Evento finito il 07 Aprile 2018


Il narrato è in sintonia con un malessere umano, che ci pare patito anche dallo stesso Azzurro: il disprezzo per una certa umanità, abituata a prevaricare e a non curarsi del prossimo, un’umanità di cui, secondo Azzurro, è piena Napoli!
La scarrafunera è il nido degli scarafaggi ed è tristemente simile all’umanità. Il testo di Cristian Izzo deve aver stregato l’attore per i contenuti proposti e le condivise riflessioni, che sono state portate in scena con simpatia. La mimica di Roberto è divertente, in particolare nella rappresentazione dello scarafaggio. Il nido di scarafaggi, ” a scarrafunera”, – un posto pieno di spazzatura, terribile, dove nessun essere vorrebbe vivere – è visualizzato, nel percorso narrativo, solo quando un raggio di luce lo illumina ed i suoi abitanti, appunto “e scarrafun”, ne prenderanno contezza. Eppure nulla cambia e tutto resta com’era. “Comm’ stev accusì stong” e “accussì rest” mi disse una volta un signore che vive per strada nell’indigenza e nell’indifferenza: e sembra proprio questa la tematica di rimando dello spettacolo. Ed è proprio l’incapacità di prendersi carico dei problemi altrui, che altrui restano fintanto che non ci tangono direttamente, il principio del dissesto della nostra bella Società: il testo e la performance attoriale intendono sottolineare proprio questa mancanza.
Vivere una vita in allerta affinché qualcuno per passare, per salire dal buco, ti capotti –  perché poi tutti lo sanno che “o’ scarrafon” non sa rimettersi in piedi da solo – è triste e pare essere un destino preconfezionato per alcuni, che, però,  avrebbero il grande demerito di non volerci provare, perché provare significa studiare e capire cose che neanche si possono immaginare: che tristezza la consistenza di questa umanità…
Chi sta a sott è chiù scarrafon e chi sta a’ cop e, se è vero – come è vero – che lo scarafaggio di sopra infligge angherie allo scarafaggio che gli sta sotto e gli mette i piedi in testa, la soluzione è semplice ed intuitiva: comportarsi nella medesima maniera con quelli, gli scarafaggi, che  stanno ancora più sotto.
L’uomo è lo “scarrafone”, come direbbe Paolo Caiazzo “e ché tene a verè” con gli altri uomini.
<< L’analisi è veritiera un po’ in tutto il mondo, ma in special modo a Napoli: l’essere umano, come lo scarrafone, non si percepisce come componente di una collettività, ma come principio e fine di un Universo a sé stante, ed in questo continuo affermarsi e prevaricarsi di “ego” ipertrofici, crea un movimento spastico, violento, convulso e continuo, pur restando sempre immobile, nello stesso punto. Una pesante immobilità, una irrisolutezza nevrotica, che sembra entrata nella quotidianità di chi s’illude di conquistare il Mondo, rubando la mela del vicino, mentre non è in casa perché occupato, a sua volta, a rubare la mela ad un altro vicino, magari proprio a lui. >>
di Cristian Izzo
con Roberto Azzurro
Dicembre 13th, 2017 by