VIPERA


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Evento finito il 13 Aprile 2019


<< Mai fidarsi della primavera! >>

E’ così che il narratore/scrittore dà inizio a Vipera, un nuovo caso per il commissario Ricciardi. Siamo a Napoli, nel 1932 e viene trovata morta Maria Rosaria Cennamo, in arte “Vipera”, una prostituta che lavora al bordello “Il Paradiso” e che sebbene molto “richiesta”, ha solo due clienti.

La notizia della morte della giovane si diffonde subito nel rione e provoca sgomento e tenerezza, perché, nonostante tutto, si fa sempre fatica ad accettare la morte di un giovane. Sarà proprio Vipera a “parlare” al commissario e a indirizzarlo verso la soluzione al suo delitto: poche parole, ripetute come un mantra, che faranno presto luce sula vicenda.

La rappresentazione a teatro dei gialli del commissario Ricciardi segue sempre una medesima logica: c’è il narratore/scrittore alla scrivania, c’è il cupo commissario col suo fedele entourage e c’è tutta una serie di bizzarri personaggi che si intrecciano alla vicenda e che, di volta in volta, vengono interrogati ora da una parte, ora dall’altra del palcoscenico, con l’ausilio di giochi di luce e nero che ce li mostrano. Il resto del tempo, assistiamo a veri e propri quadri umani, con i personaggi bloccati in pose plastiche intenti a recitar dialoghi tra loro, quasi a relegare tutta la loro potenza solo nella voce poiché altro non v’è da dimostrare se non che spesso a Napoli è “Voce ‘e popolo, voce ‘e Dio”.

Una strepitosa Rosaria De Cicco, in doppia veste di madre di Vipera e tata di Ricciardi ci regala momenti di puro teatro; intenta a raccontar ricette alla speranzosa fidanzata del commissario o a spezzare maccheroni mentre racconta tutto l’odio e il disprezzo verso quella figlia che ha scelto uno stile di vita tutt’altro che giusto, riesce a trasportarci in quella omologazione del post modernismo fascista che già anticipava la post- post modernità dei giorni nostri. Ma ciascun personaggio ne è intriso, in quanto ognuno a modo loro, vive e si dibatte in sentimenti malsani anelando, probabilmente, a un desiderio di cambiamento e di libertà che ambiguamente si respira in quel periodo. Ma la libertà vera, scevra della psicologia spicciola che qualcuno vorrebbe inserire come monito di buon vivere, può esserci solo perseguendo il reale sentimento dell’amore puro, quell’amore che ha fatto incontrare di nuovo Peppe ‘a frusta e Maria Rosaria e che li ha riportati a quella spensieratezza vissuta insieme nella loro adolescenza. L’unico uomo buono, l’unico personaggio positivo è proprio Peppe, che fa di tutto per riprendersi l’amore della sua vita senza tuttavia costringerla a scegliere tra la sua vita (quella che si è scelta) e la vita che lui le può dare. Amare senza voler cambiare chi si ama, è questa la vera libertà. Purtroppo le scelte di Peppe gli si ritorceranno contro e il suo sogno d’amore non vedrà mai la luce. Ancora una volta l’odio ha battuto l’amore e lo ha fatto nel peggiore dei modi.

Fantastici i costumi, che solo alla fine della rappresentazione riusciamo ad ammirare. Ma non sarebbe in realtà servito a molto gustarli appieno anche durante: lo spettatore viene avvolto dall’atmosfera di quel tempo, già solo con le parole, segno che il prodotto finale colpisce nel segno!

E ricordate: << La primavera non ha pietà! >>

iNPlatea_Marianna Addesso

 

 

 

 

Dicembre 19th, 2017 by