CANTICO DEI CANTICI


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Evento finito il 04 Aprile 2019


“Epurato” dal significato prettamente religioso, va in scena al Teatro Nuovo un Cantico dei cantici 2.0. Ce lo presenta un DJ stanco, annoiato, l’ombra di quello che probabilmente fu: vestito “da straccione” e con gli occhi pesti da un pesante trucco colato giù a cerchiare lo sguardo perso e malinconico. Questo personaggio che ricorda, nelle movenze e nei tratti, un po’ la rock star in declino di Sorrentino e un po’ lo “zingaro” del Mainetti, ci accoglie dormiente, disteso su una panchina basculante e reca in seno lo strumento principale del suo lavoro: un paio di cuffie. Da quelle cuffie s’ode musica in lontananza, la stessa musica che, una volta indossate quelle cuffie, riusciamo a sentire forte e chiara, come se le stessimo indossando anche noi. E’ questo il primo e significativo collegamento tra attore e pubblico, che ci accompagnerà per tutta la durata del monologo. Roberto Latini ci fa entrare nel suo mondo di tenebra in questo modo e non ci lascerà più andare via, trascinandoci in un vortice di parole e suoni, di movimenti e sospiri, che determineranno la sintesi massima di un dualismo tonale perfettamente stabilito, cadenzato da un ON AIR/OFF AIR che vuol essere un IN&OUT della coscienza e dello struggimento amoroso di due amanti felici nel ritrovarsi e distrutti nel perdersi. La resa moderna di un classico senza tempo: scelte musicali che spaziano dal punk rock dei Placebo ai remix ‘sincleriani’ New Millennium di Raffaella Carrà, parole che riempiono lo spazio e vi si accostano con rabbia e timore, con dolcezza e fermezza, con gioia e dolore. E, di quando in quando, una cornetta alzata e riposta; all’altro capo il nulla, il silenzio, il vuoto esistenziale che pesa come un macigno sulla mano stanca che la ripone, quella cornetta, non traendone risposta, ma solo altro dolore e lontananza. Unica compagna in scena del nostro DJ – nottola, una testa femminile ‘parruccata’ punk, con un fiore bianco che spunta dalle labbra; quel fiore lascerà ben presto il posto a una sigaretta e verrà portato in danza ferendo tutto il proscenio in un turbinio di giravolte. E d’improvviso una voce femminile che esclama “Vieni qui e siediti!” La voce liberata di una compagna invisibile, che incorporea agisce solo con il suono delle parole e ferisce e definisce l’uomo stanco che abbigliato “da teppista”, non potrebbe mai essere << Il mio diletto, che peccato >>.

<<Guardami, non guardarmi!>>

<<Ecco, è lui! >>

<< Eccomi! >>

Si ritrovano e si perdono ancora e ancora, legati da un filo invisibile che li ha resi amanti e distanti: si cercano senza trovarsi, si trovano senza riconoscersi. E, ripetuto in loop: << Che peccato! >> Il peccato, quello originale che si perpetua nel tempo, ma che viene lavato via da una goccia d’acqua e quello veniale che sebbene meno grave, risulta avere più tormentata redenzione, perché si sa: quando di mezzo c’è l’Amore, quello vero e totalizzante, tutto il resto scema verso l’abisso e per redimersi serve distruggere tutto, urlare, strapparsi i capelli, toccare il fondo.

Che peccato… che peccato… che peccato.

 

                                                                                                           iNPlatea_Marianna Addesso

 

Gennaio 5th, 2019 by