1984


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Evento finito il 01 Dicembre 2018


Qual è l’elemento vincente quando si mette in scena la trasposizione di un classico della letteratura? Cosa si aspetta lo spettatore che, si presume sia stato anche lettore? Qual è la variabile che deve lottare contro una serie infinita di costanti per poter superare il capolavoro letterario in un trascinamento verso l’evoluzione dinamica di un rapporto a più fasi, riprese, persone e finanche luci. Quale, dunque, la chiave vincente affinché il pubblico non abbandoni la sala anzitempo e rimanga incollato alla poltrona non per una idea di perché, quanto, piuttosto, per il per come.
Con questa serie infinita di domande sono uscita dal Bellini, dopo aver assistito alla messa in scena di 1984 di George Orwell, adattamento e traduzione Matthew Lenton e Martina Folena. Il che, se all’apparenza sembra avere una declinazione negativa, nei fatti potrebbe anche voler dire due cose. La prima è che se ho sbadigliato N volte, il mio cervello non si è punto addormentato, la seconda è che se non si è addormentato, producendo, al contrario interrogativi e nella stessa misura, perplessità, qualcosa di rilevante deve pur averlo questo spettacolo, fosse anche il pregio di una mancata banalità che ha saputo andare oltre la retorica salvifica che sembrerebbe permeare il romanzo distopico attuale. Un Fantapolitico targato 1948 quello di Orwell, che racconta di un mondo diviso in tre superstati perennemente in guerra fra loro. Oceania, Eurasia ed Estasia. L’ambientazione è quella londinese, ma della città, in scena, poco si riconosce. Luci feroci accese ad intermittenza ingannano l’occhio dello spettatore, provocando fastidio e spesso disappunto, in un gioco di ruoli, (il più forte, il più debole), come segnale visibile di una società oscura, governata dall’occhio del grande fratello, rivolto, questa volta, verso la platea come fosse memento. Discreta la prova attoriale, con un Winston Smith/Luca Carboni, ancora acerbo e forse anche incoerente, poco convincente su assi che dovrebbero raccontare troppi sentimenti contrapposti per essere semplicemente recitati. Diversamente la prova di Eleonora Giovanardi, che interpreta mirabilmente, un ruolo tutt’altro che semplice. Matthew Lenton, dunque, convince a metà. Ma si sa, il confronto con i capolavori classici non può che portare memoria.
                                                                                                                iNPlatea_Federica Flocco
Settembre 25th, 2018 by