ANFITRIONE


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Tutto sommato si comincia tranquilli: un sipario fatto da sei specchi (sei, uno per ogni attore in scena e, dunque, per il suo doppio) è quello che vediamo. Ma cos’è che invece bolle in pentola? Santo Zeus (o meglio: Santo Giove!) un uomo in gonna? E non finisce qui. Se “l’uomo in gonna” introduce suonando e ci può anche stare, chi entra subito d’appresso? Un altro uomo, vestito da donna, con la barba e la parrucca… e pure i tacchi! No, qualcosa qui non torna! E infatti l’Anfitrione che ci aspetta è un Anfitrione 2.0 che sovverte le regole classiche e benché fedele alla trama originale, scritta dal buon Plauto, si trasforma in una rocambolesca avventura in cui Giove ha i capelli lunghi e biondi, Anfitrione è un boss della Mala gretto e sgraziato e Mercurio, beh… diciamo che sui tacchi lui sembra viverci benissimo. Per riassumere la trama: Anfitrione è innamorato di Alcmena, ma il padre di lei Elettrione non vuole concedergli la sua mano. Anfitrione lo uccide e riesce a convincere Alcmena a sposarlo a patto che vendichi i fratelli di lei uccisi tempo addietro. Anfitrione accetta e il matrimonio è presto fatto. Peccato però che Giove, annoiato e sempre alla ricerca di nuovi stimoli, con l’aiuto di suo figlio Mercurio, fa in modo di prendere le sembianze del povero Anfitrione per giacere indisturbato con Alcmena. Ci riesce e genera Ercole.

<<E mentre Anfitrione si gode Alcmena, noi attori, qui, cambiamo scena!>>

E che cambio scena! Squilli di tromba, danze vorticose, cambi di abito e di parrucche, la quarta parete che non viene abbattuta, ma proprio “frantumata” dai due Dei che si lanciano tra il pubblico. Tutto questo è sempre ciò che il pubblico vede… Ma cosa vi si nasconde realmente dietro?  Un figlio costretto a soddisfare i capricci del genitore, una figlia che nonostante l’odio per chi le ha ucciso il padre, non esita a divenirne moglie in cambio di un banale, seppur costosissimo, pezzo di vetro, due servitori fedeli e succubi di chi li governa, pronti addirittura a dare la vita per i loro padroni. E poi c’è lui, il guappo, l’uomo d’onore che fin da piccolo è stato educato a comportarsi in un certo modo anziché in un altro, poiché solo così sarebbe diventato veramente uomo e non “ricchione”.  Teresa Ludovico riscrive Plauto e lo rende oggettivamente e tristemente contemporaneo; il terrore di non riconoscersi, di essere surclassati da chi ha più potere è cosa nota ed attuale e, ahimè, dura a morire. E Giove, il Dio, il “capo” di tutti gli Dei si diverte, ora come allora, a manovrare le menti degli umani inferiori salvo poi svelare tutto e rivelare anche lui un certo malessere

<<Sono io ad essere geloso di te. Perché lei ama te!>>

Svela all’allibito Anfitrione, al quale salva la vita in extremis pur rivelandogli contestualmente di avergliela ormai rovinata. Questo è il potere: il potere che non si sazia mai e che ha bisogno di nutrirsi sempre di nuova linfa per continuare a sottomettere e soggiogare e per rendere tutti schiavi e asserviti e lui possiede il potere e ci si diverte. E allora ben vengano le regole classiche sovvertite e ben vengano gli uomini “in gonna” e sui tacchi, truccati come sfatte prostitute che trasudano nulla dignità. Plauto avrebbe apprezzato questa rappresentazione e sarebbe stato orgoglioso di vedere, ancora, in scena le sue creature trasportate come per magia in un mondo nuovo che ci accorgiamo essere nuovo solo grazie ai giorni che inesorabili scorrono sul calendario. In realtà il mondo non è ancora cambiato e lungi dal farlo. Ma come chiosa Mercurio:

<< Magnum gaudio et summa gloria currant. Nunc et semper>>, dopo tutto domani è un altro giorno e… si cambierà! O forse no!

Michele Cipriani, Irene Grasso, Demi Licata, Alessandro Lussiana, Michele Schiano di Cola, Giovanni Serrone e Michele Jamil Marzella riempiono la scena con ritmo serrato e mai prevaricante e il tempo trascorso in loro compagnia è tempo ben speso: un tempo fatto di risate e riflessioni amare, un tempo che non aspetta tempo per cambiare.

Menzione speciale alle varie citazioni inserite ad arte che passando da Edoardo (“Susate, è capit susate!” “Tu non sei una serva. Tu non servi!”) a Rosario Miraggio (“Senza e te nun pozz sta pcche’ tu m’appartien!”) a Gomorra (“Stai a penziero tranquillo!”) legano passato e presente strizzando l’occhio alla voglia di rivalsa tanto cara a quelli “che vivono in basso”.

Ancora Mercurio, in veste di coscienza parlante (oserei mettere anche “grillina”, ma di questi tempi l’appellativo risulterebbe quantomeno fazioso) ci ricorda che:

<<Fa l’amore perché è un suo capriccio. Tutti voi dovreste farlo. A patto di farlo bene!>>

E buio.

Marianna Addesso_iNPlatea

Maggio 29th, 2018 by