BARRY LYNDON (il creatore di sogni)


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Evento finito il 02 Luglio 2018


Una produzione Associazione Culturale Teatro La Comunità 1972 – Teatro di Roma/Teatro Nazionale

 

 

Questo mio Barry Lyndon prende le sue emozioni dal grande film di Kubrick. Il romanzo di Thackeray è servito a delineare caratteri, situazioni, indicare paesaggi e storie a noi lontane, ma forti e indimenticabili. Nella trasposizione teatrale ancora di più ci si vuole avvicinare alla favola nera che racconta la vita avventurosa tra amori e guerre del signor Redmond Barry di Barrybarry, discendente dai re d’Irlanda, così dice sfrontatamente al momento di arruolarsi il protagonista. Egli mente, come gli capitò spesso nella sua vita, e difende le sue menzogne con tutto il suo corpo. Come un capitan fracassa si getta nella rissa, e da sprovveduto lottatore, le prende da tutti.
La caratteristica dello spettacolo si lega alle modalità del sogno, delle cose desiderate ma, ahimè, solo immaginate nella notte, nel guardar le stelle, come se tutto il divenire della vita, prima di mutarsi in realtà, fosse stampato nel firmamento per essere desiderato da chi lo scruta, anche la guerra, non certo cosa buona e desiderabile, è solo sognata e prende il suo avvio tragico e geometrico nel paesaggio fatto di nebbia e ombre. Barry Lyndon, è la rappresentazione dove si parla di cose giuste e di cose ingiuste, del sacro e del profano, tutto per entrare nella vita e coglierne il meglio: Barry s’innamora della donna che, da borghese campagnolo, lo trasformerà nel marchese di Lyndon, senza remore e tentennamenti, varca le soglie dell’aristocrazia e scompagina una realtà che non conosce, solo con il ‘buonsenso’ delle persone comuni, troppo poco. Il suo nuovo mondo gli appare magico e spettrale come se gli altri personaggi fossero fantasmi nel buio e invece sono i nobili che lo detestano perché non appartiene alla loro casta. Le musiche diventano l’esemplificazione degli stati d’animo dei personaggi, le loro parole prendono forma come in un gioco da
teatro didattico, fatto di sfondi di carta dorata e argentata, presi in prestito dai palcoscenici di cartone della nostra infanzia, piccoli teatrini sullo sfondo, tra le foglie nere della notte che tutto avvolgono, dove le guerre non hanno mai fine facendosi spazio tra ricevimenti e incontri d’amore e duelli mortali, sagome di personaggi che affollano i salotti manipolate come le marionette giapponesi dagli attori e dai personaggi stessi, in un rapporto simbiotico e poetico di grande seduzione visiva: una rappresentazione teatrale fatta di carne, carta e cartone, in cui campeggiano i fatti dell’amore, ma anche quelli del tradimento e della seduzione. Duelli, incontri furtivi, fughe da Casanova spiantato, che incappa però nella donna più bella e desiderabile,
con l’unico difetto di essere già sposata ad un vecchio ricco e senza alcuna voglia di farsi da parte. Come sappiamo Redmond, con la sua per nulla consolidata pratica di arrampicatore sociale, riesce a sposare sì la marchesa di Lyndon, ma poi…?! Il gioco delle immagini da scena di cartapesta, delle musiche di Mozart, Handel, Paisiello e Rossini e tanti altri, anche contemporanei, come Tom Holkenborg, Sakamoto, Alva Noto, Arvo Part e Kronos Quartet e le meravigliose cantate a cappella nella lingua dei padri celtici raccolti da Alan Lomax. Un teatro trionfante nella forma e imbevuto delle storie che si tramandano, che si raccontano come monito per chi ha peccato e per chi, giovane, dovrà ancora peccare. Forse, sotto sotto, lo si potrebbe anche scambiare per un teatro per famiglie, quello in cui la morale è: “…chi sbaglia, paghi finalmente!” Siamo alle soglie della rivoluzione francese, e un uomo, Redmond, che da povero è voluto diventare un capriccioso ricco aristocratico, nel momento sbagliato, nell’ora in cui cadono le teste dei vanitosi ricchi aristocratici, è un uomo che non sa di storia e che da sprovveduto è destinato a soccombere al primo mutar del vento, illuso e maltrattato da tutti e dal suo arrivismo inarrestabile. Alla fine della recita la triste storia di Redmond Barry con la sua gamba amputata, sembra più una conclusione dettata dalla morale vendicativa dell’epoca che non dal volere dell’autore, che guarda al nuovo corso della storia mentre sta per affacciarsi Napoleone Bonaparte!

 

 

Liberamente tratto dal romanzo di William Makepeace Thackeray
nella riduzione teatrale di Giancarlo Sepe
con gli attori della Compagnia del Teatro La Comunità (in o. a.): Massimiliano Auci, Sonia Bertin, Gisella Cesari, Silvia Comi, Tatiana Dessi, Turi Moricca, Federica Stefanelli, Giovanni Tacchella, Guido Targetti, Pino Tufillaro, Gianmarco Vettori
musiche Davide Mastrogiovanni e Harmonia Team
Scenografie e costumi 
Carlo De Marino
luci Guido Pizzuti
regia Giancarlo Sepe

Maggio 29th, 2018 by