CELESTE


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Una produzione Liberaimago

 

<< Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non arivedo la famija mi è colpa de quella venduta de Celeste Di Porto. Rivendicatemi. >> Questa frase fu ritrovata sul muro della cella n. 306 a Regina Coeli, scritta con un chiodo. Queste stesse parole, recitate in loop dai due attori maschili (gli unici che daranno vita a più di un personaggio ciascuno) danno l’incipit a Celeste, spettacolo di Fabio Pisano interpretato da Francesca Borriero, Roberto Ingerito e Claudio Boschi. La Borriero, in abito bianco lungo, in contrasto con le camicie nere indossate sotto l’abito scuro dai due protagonisti maschili, rende subito l’idea di contrasto e forse anche di innocenza di Celeste. Celeste Di Porto è ebrea e la sua vita si svolge a Roma durante la Seconda Guerra Mondiale. E’ giovane Celeste e non ha nessuna voglia di morire; vuole essere lei a decidere la sua sorte e non permetterà a nessuno di decidere per lei, d’altronde non ha fatto nulla di male. A prima vista appare dunque una figura che dimostra candore, tenerezza, che si ritrova suo malgrado circondata dal male e che ad un certo punto prenderà una drastica decisione. Lo spettacolo si divide in “quadri”, di volta in volta annunciati dagli attori. “Secondo quadro – Roma – interno casa”: Celeste e suo fratello discutono su come comportarsi quando i tedeschi arriveranno anche a casa loro. Il fratello di Celeste vuole organizzare la fuga e intima a Celeste di prendere il minimo indispensabile. Il minimo indispensabile? Queste parole iniziano a girare vorticosamente nella testa di Celeste: qual è il suo minimo indispensabile? Dopo varie elucubrazioni a voce alta, Celeste ha deciso: il suo minimo indispensabile è la radio, perché senza la musica lei muore. Ma << Tanto noi non moriremo >> dice decisa al fratello; Celeste ha deciso così e ha deciso che per non morire consegnerà la sua gente ai suoi nemici << Perché io sono il Male e ce vojo annà in fondo a sto male… >>. Presi accordi con un colonnello delle SS, stuzzicato sia moralmente che fisicamente << Le vostre retate nun servono a un cazzo! Roma è enorme e noi siamo dappertutto. >> <<Come topi. Ma lei lo sa cosa aspetta dopo a quegli uomini?  >> << Nun me interessa! Se l’unico modo per reagì al male è far del male allora si fa!>>, in cambio della salvezza sua e della sua famiglia e di cinquemila lire per ogni ebreo che segnalerà, si veste di una nuova identità. Celeste Di Porto lascia il posto alla Pantera Nera. Nessuna differenza tra vecchi, donne o bambini; per lei ogni persona rappresenta solo un guadagno e la sua assicurazione sulla vita. E inizia la macabra avventura: bastava un cenno, un saluto e venivano presi tutti, non importa dove li conducesse quel treno, anzi, lei un treno non lo aveva neanche mai preso quindi di che si lamentavano quelli? L’unico a vergognarsi di ciò che la Pantera Nera ha messo su è Settimio Di Porto, il padre di Celeste; ma anche per lui ci sono parole di sfida << Se tu seguiti a menarmi faccio prende pure te! >> Celeste non ha più alcuno scrupolo. Solo quando il fratello verrà catturato ella cercherà di ribellarsi. Ma i patti sono patti e serve un nome per permettere il cambio. Quel nome viene fatto: Anticoli Lazzaro, un povero pugilatore, appena diventato padre, che viene sacrificato senza pietà.

Gli anni passano e Celeste trova anche l’amore; ma è un amore malato e lei si accorge subito che quel ragazzo non ama lei, ama in modo macabro ciò che fa. Gli anni passano e i “quadri” si susseguono; in sottofondo Radio Londra coi suoi messaggi in codice e le dichiarazioni di armistizio e ogni tanto una canzone suonata dal vivo dal quarto attore in scena, Francesco Santagata, che arrangia canti d’amore sempre in modo diverso ed è sempre sollecito a sottolineare scene e situazioni con la sua chitarra. Alla fine la Pantera Nera verrà catturata; con lo pseudonimo di Stella Martinelli si era messa a fare “la vita” a Napoli, ma viene scoperta quasi subito e condotta a Regina Coeli, nella cella 306. Perché proprio quella cella? E perché la lasciano lì in silenzio, senza neanche una radio? Solo la mamma continua ad andare a trovarla, ma Celeste allontanerà anche lei. E’ rimasta sola e va bene così. Ha fatto le sue scelte consapevolmente e non ne è affatto pentita.

Epilogo – Regina Coeli – cella 306: Celeste in ginocchio tra i due uomini che, in un ultimo atto di perdono, la aiutano a risollevarsi… buio.

L’atto di aiutare la donna a rialzarsi è uno dei tanti simbolismi di cui è intrisa la pièce. La figura del padre appare in scena ‘da morto’ avvolto in una nube di fumo (in effetti gli si sta fumando in faccia una sigaretta, ma nel contesto tutto ciò appare ben congegnato e niente affatto banale), Celeste e il suo fidanzato amoreggiano appoggiandosi a un cadavere e così via. Tutto questo simbolismo niente affatto accennato, anzi volutamente sottolineato, unito al gracchiare delle radio tipico di quel tempo e alle sensazioni sonore regalate dal Santagata tramite note cupe, ma anche tramite leggeri motivetti anni ’40 più o meno noti, rendono facile l’empatia. Sembra proprio di trovarsi nell’Italia di quegli anni e forse l’unica nota stonata e che un po’ distrae e il lasciare visibile in scena il musicista col suo tavolo da lavoro. Il computer e l’impiantistica moderna cozzano non poco con l’atmosfera creata in scena e forse una quinta avrebbe potuto far immaginare senza vedere, lasciando intatta l’immedesimazione al pubblico.

MArianna Addesso_iNPlatea

 

con Francesca Borriero, Roberto Ingenito, Claudio Boschi
testo e regia Fabio Pisano
suggestioni sonore Francesco Santagata

Dicembre 16th, 2017 by