Chi troppo e chi imene, tutti diciamo parolacce, specialmente i bambini che imparano a riconoscerle da soli, senza particolari spiegazioni. Le parolacce esprimono le emozioni primarie dell’uomo: rabbia, disgusto, paura, sorpresa, divertimento, ma quelle messe in rima e in scena da Federico Salvatore vanno oltre l’intento ludico e goliardico. Sono, invece, consapevoli di una loro validità poetica e vanno ascoltate e giudicate come provocazione al perbenismo di facciata, al falsopudorismo dei signori del piano di sopra, all’ipocrisia dei sozzi di dentro e lindi e pinti di fuori. Una bella malaparola rozza e primitiva, veritiera e sincera, mirata e motivata, è sublimazione fantastica di quell’impulso liberatorio, altamente efficace, sia per la propria salute interiore, sia per la chiarezza dei rapporti interpersonali. Nella vita, come sul palcoscenico, approfittando della libertà che la società ha sempre concesso ai buffoni di corte e ai pazzi, il linguaggio di Federico Salvatore si è posto sempre fuori da ogni regola.
di e con Federico Salvatore
regia Gaetano Liguori