I PROMESSI SPOSI ALLA PROVA


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Due giovani attori entrano in scena mogi mogi. << E adesso? >> << Ricominciamo! >> Stavano preparando un nuovo allestimento de “I Promessi Sposi” e il loro Maestro li ha lasciati soli. L’unica cosa che gli è rimasta è un quaderno in cui egli spiega l’impostazione delle scene, della voce, dell’intonazione delle parole e delle movenze in scena. Il quaderno abbandonato lì per terra, vari costumi pronti per essere indossati, una spada e due microfoni: questa la scarna scenografia in cui i due attori si muovono, all’inizio spaesati e titubanti. I problemi partono già all’inizio, quando Renzo deve pronunciare la parola “Quel”. “Quel” è la troncatura di “quello” e sta a significare che ci si sta riferendo proprio a “quel ramo” e non ad un altro… non è affatto facile trovare la giusta intonazione. I due attori si dividono i personaggi, che, per distinguersi, hanno ognuno un loro “travestimento”; Don Abbondio è avvolto in un pesante mantello grigio, la candida Lucia indossa una camicetta bianca e così via. Sebbene in alcuni punti il tempo viene fin troppo dilatato e si rischia la noia, la pièce risulta piacevole: la simpatica scena tra Renzo che parla a Lucia sotto il suo balcone e lei, presa dai preparativi del matrimonio non lo vede e non lo sente, fa sorridere. I caratteri del romanzo vengono esasperati; a un Don Abbondio che corre come un forsennato, fa da contraltare un Fra Cristoforo lento nei movimenti e nelle parole. C’è la Perpetua, c’è il perfido Don Rodrigo e c’è anche la Monaca di Monza con i suoi due “fidanzati”, Giampiero ed Egidio, fusi poi nell’unico Giampegidio. Il quadro di Giampegidio e della sua amata è decisamente il più divertente; dei due attori, il maschio interpreta la monaca mentre Giampegidio, un duro con occhiali da sole e cappotto di pelle d’ordinanza è interpretato dall’attrice. Ma non è certamente lo scambio dei sessi che fa sorridere. Piuttosto l’estrema caratterizzazione dei due personaggi che se nel romanzo trasudano cupa tristezza, qui risultano talmente ridicoli da sembrare dei simpatici bonaccioni. La Monaca di Monza non esce quasi mai da una scatola di legno che simboleggia la sua clausura, la stessa scatola che in seguito imprigionerà la dolce Lucia rapita dai Bravi. Altro quadro significativo è quello finale, in cui è protagonista l’Innominato: non appare in scena, gli regalano la voce entrambi gli attori inginocchiati e illuminati da un occhio di bue che parlano al microfono. Prima parlando piano, poi urlando, regalano all’Innominato quella vis che sempre si immagina pensando al personaggio, una vis che se da un lato lo rende temibile, dall’altro fa intuire quanta disperazione alberghi in lui.

Pochi elementi e tanto buon teatro. Il cambio di registro dei due attori, le loro mani che si muovono in un tutt’uno con il corpo, la perfetta dizione e le rughe sulla fronte regalano al pubblico un’ora e mezza di sana recitazione. Yvonne Capece e Walter Cerrotta, che curano anche la regia di questo spettacolo, sono molto bravi. Alla fine, una voce fuori campo, la voce del Maestro, gli ricorda che essere buoni attori equivale ad essere uomini buoni, migliori. La sensibilità, la passione e soprattutto il duro lavoro messi a servizio della recitazione gli tornerà utile anche nella vita reale. I due ne faranno tesoro. Non si erano ancora visti, così, i due sposi promessi; protagonisti di una vera e propria tragedia. E poi il buio e due sole parole che restano illuminate in scena: La Speranza. Quella non deve morire mai.

Marianna Addesso iNPlatea

 

di Giovanni Testori

scene  costumi Micol Vighi

light designer Anna Merlo

regia e interpretazione Yvonne Capece e Walter Cerrotta

Ottobre 10th, 2017 by