IL SORPASSO


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Evento finito il 19 Novembre 2017


Convincenti Giuseppe Zeno e Luca Di Giovanni nei ruoli di Bruno e Roberto, portati sul grande schermo da Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant ormai più di cinquant’anni fa. Tanto scanzonato e farfallone il primo quanto timido e impacciato il secondo, riescono ad esprimere con la voce, ma anche con i loro movimenti in scena, le differenze caratteriali che se all’inizio disegnano un divario insormontabile tra i due, sul finale riescono a renderli quasi simili. Riuscire a traghettare su un palcoscenico ambientazioni ed emozioni già apprezzate sul grande schermo non è sempre una scommessa vinta. La staticità della scena teatrale, che cambia solo grazie a giochi di luce e quinte mosse ad arte può, il più delle volte, rallentare un racconto e renderlo apparentemente slegato. Se poi si parla di un racconto che si svolge per la maggior parte del tempo su una strada, a bordo di un’automobile che sfreccia veloce, la suddetta trasposizione può risultare anche impossibile. Così non è per questa versione, la prima a teatro, del capolavoro di Dino Risi. Proprio come accade per il film, anche qui la strada riesce ad essere protagonista e il passaggio tra città e campagna, sebbene vissuto solo attraverso filmati che scorrono sulla scenografia, risulta persuasivo. Unici elementi forse un po’ svincolati sono gli ambienti interni: le case, la locanda e lo stabilimento balneare che accoglieranno i due viaggiatori nelle varie soste sembrano manchevoli di qualcosa: un fattore non ben definito che li renda credibili. D’altronde Il soprasso è quello che oggi si definisce un road – movie dunque il fulcro centrale resta la strada percorsa, a tratti divorata, dalla mitica Lancia Aurelia B24, recante clacson tritonale d’ordinanza, intesa come libertà. Libertà dagli schemi mentali e sociali, libertà dalle paure e da ricordi d’infanzia troppo idealizzati e quindi ingigantiti, libertà da se stessi. <<Ma come, non avevi detto che ci saresti rimasto tutta la vita in campagna?>> chiede Roberto a un impaziente Bruno; la risposta è <<E per me tre ore so’ una vita!>> Bruno che va sempre a mille per cercare di dimenticare il fatto di essere rimasto solo e Roberto che solo non è, circondato da affetti e da ricordi e con obiettivi chiari nella testa. Roberto frenato e legato e Bruno che suo malgrado lo libererà e gli farà vivere, seppur per poco, la vita, quella vera. Ma si può davvero sradicare un essere umano dal suo ambiente? Se si tratta di una persona ancora giovane come Roberto forse si può, ma con Bruno il discorso è diverso. Quando si troverà ad interagire con moglie e figlia sembrerà essere lui l’unico tra i tre dotato di valori e sani principi, ma nel finale si rivelerà ancora una volta superficiale e strafottente:

<<Era un suo parente?>>

<<.. si chiamava Roberto. Il cognome non me lo ricordo.>>

Applausi per tutti e soprattutto per Zeno, che arriva nella sua città natale da neo papà (la sua prima figlia è nata solo da un giorno) e riesce a conquistarla, pur tradendone spudoratamente l’accento con un perfetto romanesco.

Marianna Addesso iNPlatea

 

con Giuseppe Zeno, Cristiana Vaccaro e Luca Di Giovanni

e con Marco Prosperi, Simone Pieroni, Pietro Casella, Francesco Lattarulo, Marial Bajmal Riva

regia Guglielmo Ferro

Ottobre 2nd, 2017 by