LA DELICATEZZA DEL POCO E DEL NIENTE


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Evento finito il 30 Marzo 2019


Roberto Latini legge Mariangela Gualtieri ne La delicatezza del poco e del niente in scena al teatro Tram.

Un’ora di monologo che inizia con un interrogativo retorico: “Io non so“ e termina con una consapevolezza: solo l’amore ci può salvare.

Da solo in scena,di bianco vestito, Roberto Latini ci accoglie di spalle, seduto in posizione quasi fetale. Soltanto sulle prime note di quella che non è ancora musica bensì il lontano gracchiare di una puntina di giradischi, egli si alzerà e di fronte ad un leggio e coadiuvato da due microfoni, inizierà a declamare i versi. Due microfoni per due diverse intonazioni della voce: una limpida, chiara, l’altra artefatta a simboleggiare un Io diverso, un alter ego nascosto che tenta di farsi strada facendo vibrare prima il corpo e successivamente la voce del protagonista principale, talvolta destabilizzandone la coscienza. Antonin Artaud e il teatro come “pura catarsi“; ed è stata proprio una catarsi quella che si è consumata sulle assi del palcoscenico e che è giunta fino in platea, rendendo più di qualche occhio umido e provocando sussulti dell’anima che hanno letteralmente stregato il pubblico, immobile sulla sedia dalla prima all’ultima parola udita, e che solo al termine è scoppiato, liberandosi, in un fragoroso applauso.

“Ossicine”, “Voci tempestate”, “Sermone ai cuccioli della mia specie”, “So dare ferite perfette”, “Fuoco centrale”, “Paesaggio con fratello rotto” alcune delle liriche recitate. Un flusso ininterrotto di parole che sembra non finire mai, legando l’ultima parola di una poesia con la prima di quella successiva, in un vortice di sospiri e sussurri. Mai urlata è la parola, ma sempre accompagnata dalla dolcezza di un timbro vocale che anche quando si fa più “scuro“ non sconfina mai nell’urlo e si avvale solo della eco e della distorsione per sottolineare qualche passaggio.

La dicotomia: uomo e donna, vita e morte, giorno e notte, bianco e nero che prende vita e forma nelle mani dell’attore; mani che afferrano ora l’uno ora l’altro degli apparecchi microfonali, che solo in due o tre occasioni vengono utilizzati contemporaneamente a suggellare quella unione tra corpo e spirito, tra l‘ inside e l’outisde che fanno pace e smettono di rincorrersi e di prevaricare raggiungendo solo per pochi attimi la perfetta intesa, il perfetto equilibrio. Il resto è guerra, è scissione, è un continuo dilaniarsi.

Qualcuno che ha visto lo spettacolo insieme a me e che si è parimenti emozionato, ha voluto “regalarmi“ il suo pensiero:

<< Credo soltanto nella poesia. Bisogna redimersi assolutamente di fronte alla sua arte. Si è ancora in tempo. Lo sguardo agli altri si può anche concederlo. La fiducia la si dona per slancio come ultima prova verso l’umanità. Ma come non rimanerne feriti, come? Il miracolo delle lacrime è la testimonianza ultima di una religione che ha a che fare con l’androginia asessuata degli angeli, ma di quale bellezza si tratti non so dire. Parlo di orgasmo, quello che la parola soltanto può donarci mettendo in crisi, seriamente, la sintassi strutturata. Non so se Campana e la sua eco rintronano ancora come certezza. Nell’incertezza, intanto, non c’è altro che amore. Il miracolo. >>

Il miracolo dell’amore, la forza dell’amore che usa la parola per mostrarsi senza filtri e per fare pace col mondo e le sue brutture. Solo verso la fine l’Attore ha alzato gli occhi dal leggio e ha volto lo sguardo al pubblico: lo sguardo del Poeta, ormai impossessatosi di ogni fibra del suo corpo e che si è voluto donare compiutamente per poi  raggomitolarsi nuovamente in posizione fetale e tornare, così, nel suo mondo fatto di musica e parole, del poco e del niente, ma del Tutto.

 

                                                                                                     iNPlatea_Marianna Addesso

Ottobre 1st, 2018 by