L’IMMORALISTA


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Evento finito il 28 Aprile 2018


Michel e Marceline si sono appena sposati; indossano ancora i loro abiti nunziali e sebbene siano trascorse solo poche ore, le loro diversità fanno già capolino. Michel non la ama e non lo nasconde: “Ti sposo senza amore Marceline… lo faccio per compiacere mio padre che sta morendo!” Dal canto suo Marceline è ben consapevole di essersi ritrovata coinvolta in un matrimonio di facciata, ma fa buon viso a cattivo gioco convinta che la sua fede la aiuterà: “Ti conosco molto poco, ma a te mi dono… nel nome del Padre, del figlio e dello Spirito Santo”. Tanto spento e apatico è Michel, tanto è entusiasta della vita Marceline. Anche quando si tratta di partire per il viaggio di nozze in Africa lui altro non desidera se non andare a vedere “le rovine”, mentre lei muore dalla voglia di conoscere la gente del luogo, conoscerne le abitudini e tentare, a suo modo di civilizzarli. E finalmente partono; il tempo del viaggio è scandito dalla danza dei due, una danza prima lenta poi sempre più scattante che fa intuire le diverse mete toccate. Alla fine, arrivati a destinazione, Michel cade a terra esausto e dolorante: si è ammalato di tubercolosi. Chiusi in una stanza d’albergo Marceline cura amorevolmente quell’uomo che sta imparando ad amare e per distrarsi esce a fare amicizia con i bambini del luogo. Quei bambini a cui lei insegna le preghiere, infastidiscono molto Marcel, che la malattia ha reso ancora più insofferente. Ma non sarà sempre così. Arrivare così vicino alla morte spoglia Michel di qualunque orpello imposto dalla rigida educazione borghese e lo rende finalmente libero. Decisi a riprendere in mano la loro vita, quella comoda a cui erano abituati, ma convinti di riuscire questa volta a dominarla, i due fanno ritorno a Parigi. Ben presto, però, nuove ombre si insinuano nella mente del giovane, che appare di nuovo insofferente e di nuovo schiavo di nuove e incontrollabili pulsioni. Questa volta è Marceline che propone un trasferimento e i due vanno in Normandia, dove Michel potrà occuparsi dei terreni di sua proprietà. Ma neanche la campagna e una vita più tranquilla riescono a sedare gli impulsi di Michel, che appare sempre più costretto in una realtà che non gli appartiene. Per l’ennesima volta in viaggio, nonostante la salute di Marceline sia questa volta a rischio, i due tornano dove tutto è iniziato, ma stavolta i bambini africani che tanto Michel aveva imparato ad amare non sono più bambini; egli li guarda con occhi nuovi e sente che, di nuovo, tutto gli sta sfuggendo inesorabilmente di mano. Ogni notte lascia sola la moglie e si lascia travolgere da quella vita notturna che è l’unica cosa che sembra dargli sollievo alle sofferenze. Di contro, il corpo fragile di Marceline, sempre più provato, non resiste e ricordando di quando, la prima volta che si sono visti lei gli avesse fatto un inchino per fargli intravedere i seni lui avesse invece osservato i suoi capelli, muore. Due personalità così diverse eppure così profondamente affini nella loro indolenza; due giovani educati fin troppo rigidamente che tentano ciascuno a modo proprio di ritagliarsi uno spazio in un mondo talmente ottuso che reprime invece di insegnare, che toglie invece di dare e che inesorabilmente porta all’infelicità. Michel, pur liberatosi dalla polvere dei libri e delle convenzioni e desideroso di non nascondere ciò che realmente è, si lascia cadere in un vortice oscuro e perde nuovamente di vista cosa è davvero importante. Marceline, forse, è l’unica che alla fine si salva… morendo. Quanta tristezza intorno a loro; la tristezza della morte e la triste derisione di quel bambino ormai cresciuto che si prende gioco di Michel e dei suoi sentimenti finalmente dichiarati, ridendo a crepapelle. Se Marceline ha trovato sollievo ai suoi mali, egli sarà ancora costretto a conviverci e di certo ne uscirà sconfitto.

Giovanni Esposito e Marilia Marciello interpretano con garbo queste due figure tormentate nate dalla penna di Andrè Gide. In questo allestimento curato da Luisa Guarro e Antonio Mocciola, quasi nulla è lasciato al caso. Bauli e valigie sempre in scena a simboleggiare un viaggio infinito, reale, ma soprattutto interiore; oggetti che come fantasmi compaiono fluttuanti in scena e poi gli attacchi di tosse e quelle danze “spazio/temporali”, che sembrano anch’essi infiniti e che divertono e innervosiscono anche un po’, ma non risultano mai fuori contesto. La muliebre dedizione con cui lei si prende cura di lui è resa viva nei gesti con cui gli accarezza il capo e gli asciuga i sudori della febbre. Ma non si può dimenticare che siamo di fronte ad una giovanissima donna, quasi un’adolescente, che con quella voce squillante e quei capelli lungi lasciati sempre sciolti esprime tutta la sua ingenua brama di felicità. Entrambi gli attori, poi, si fanno carico anche del cambio scenografico che avviene palesemente e con semplici spostamenti di suppellettili e poltrone. Vestiti entrambi di un beige safari, che fa tanto “La mia Africa”, i due riescono a far immedesimare il pubblico in quel tempo e in quei luoghi lontani, ma sovrapposti nella loro asperità celata e non.  Il velo da sposa rimane lì in un angolo, ben visibile; è da lì che parte tutto: da quello che è giusto fare perché qualcuno, una volta, chissà dove, ha deciso così.

 

Marianna Addesso iNPlatea

 

di Luisa Guarro e Antonio Mocciola
liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Andrè Gide
da un’idea di Antonio Mocciola consulente, esperto letterario, per l’interpretazione del testo

con Giovanni Esposito e Marilia Marciello
adattamento e regia di Luisa Guarro

Dicembre 16th, 2017 by