ORFEO – PIOMBATO GIU’


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Evento finito il 01 Dicembre 2018


<<…e caddi, come corpo morto cade!>>

E’ buio: si odono parole, prima lontane e poi sempre più vicine e un campanello ‘squillato’ ad arte che dà loro un ritmo preciso. Così inizia Orfeo piombato giù, scritto da Cristian Izzo e diretto e interpretato da Roberto Azzurro.

Le parole solo udite, raccontate da un corpo che non si vede, a significare forse l’inizio della via, quel momento in cui si passa da un mondo conosciuto a un mondo ancora da conoscere e che spaventa; la vita che inizia dal niente come la storia del poeta che inizia da un pensiero, da un flusso informe che in taluni casi riesce a divenire reale, a liberare colui che lo ha creato, rendendolo però in qualche modo schiavo del suo stesso essere divenuto realtà. E allora ci si ritrova a piombare giù verso un baratro senza fine che avvolge e dispera, protegge ma colpisce, eccita e fa paura al contempo.

Cadere è “piombare giù”; la voce è “piombare giù”; la vita è invocazione, invocare è “piombare giù”! Un flusso ininterrotto di coscienza: ecco come Roberto Azzurro accoglie il suo pubblico, ricevendolo in luogo scarno, privato di tutto ciò che è materiale, e reso vivo e vitale solo dal suo percorrerlo in lungo e in largo. Un monologo che partendo dal mito di Orfeo, musico e lirico che ha amato così tanto la sua Euridice da andarla a salvare (salvo poi fallire) dall’oscurità dell’Ade, si fa voce grazie alle parole di altri poeti e letterati che nel corso dei secoli hanno dimostrato con i fatti, con le loro parole, che la letteratura è “piombare giù” e che solo chi domina il linguaggio vince. Una scenografia povera, un teatro povero, alla Grotowski, per restituire tutta l’importanza all’attore e ai suoi movimenti che, circolari e cadenzati attorno al leggìo, ricordano agli astanti quanto un corpo, un’entità tangibile, possa donare dignità alla voce e a un testo scritto altrimenti “precipitato”.

Una rivalsa, una rivolta, un voler restituire decoro persino a un suicidio che tale non è, poiché “vi è un mandante anche quando non ci sono carnefici!”

Ecco che l’attore è Orfeo, è “Pierrot Lunaire”, è corpo che cade, che precipita e si incontra con la realtà della vita, che in quanto tale esiste, ha un peso, è materia vivente.

“Non si è corpi perché si precipita, si precipita perché si è corpi” ed è l’unico modo per ristabilire una realtà altrimenti evanescente, l’unico modo per appigliarsi alla concretezza che rende consapevoli di ciò che si è e di ciò che si fa, l’unico modo per non morire anche dopo morti. Ma, in fondo, il Poeta vuole morire o vuole lasciare una traccia? L’oblio in cui precipitano le sue spoglie mortali, quelle che dopo un urlo che nasce dal profondo sbattono violentemente su un terreno che accogliendole chiede: “Da dove vieni? Da dove sei caduto, da dove sei piombato giù?” E’ questo il vero dilemma; ciò che rende l’uomo insicuro e vulnerabile e che dilania la coscienza, facendolo anelare alla dissolvenza completa e totale, un modo per non lasciare traccia.

<<Punto d’oblio dove eccede l’infinito per donarsi all’increato>>

La testa di Orfeo continuerà a cantare le sue melodie anche dopo essere stata staccata dal corpo e non poteva esserci esempio più calzante a dimostrazione del fatto che pur anelando alla propria libertà, l’individuo non può perdere di vista quell’invisibile filo che lo tiene legato alla tangibilità della materia.

D’altronde: “siamo fatti della stessa realtà di cui sono fatti i sogni”…

 

                                                                                                            iNPlatea_Marianna Addesso

 

 

Ottobre 17th, 2018 by